Luciano Sorba

classe 1925

L’11 gennaio 2011 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con proprio decreto ha conferito a Luciano SORBA la Medaglia d’Onore

“per essere stato internato e deportato nei lagher nazisti nell’ultimo conflitto mondiale”

Nell’agosto del 2018, nella sua casa a Leuca, Luciano Sorba, all’età di 94 anni ci concede, su richiesta del presidente della Proloco dott. Vincenzo Corina, una lunga video intervista curata dallo psicologo Francesco Giaquinto, Giulia Chiffi e coordinata dal prof. Antonio Romano.

Con notevole e comprensibile sforzo di memoria, (pochissimi IMI viventi sono ultranovantenni) Luciano Sorba ha cercato di ripercorrere tre anni di inferno.

Questa intervista è stata possibile anche grazie al contributo notevole di Piero Sorba, figlio di Luciano, il quale ha messo a disposizione tutte le ricerche da lui effettuate negli anni, per cercare di ricostruire quel diario su cui Sorba aveva annotato tutto; a quelle pagine Luciano aveva affidato i suoi momenti più duri e di cui si era dovuto liberare verso la fine del viaggio, per salvarsi.

Chiedemmo che ci raccontasse le sue esperienze nei campi di concentramento. Ci rispose quasi con rabbia: “E avete aspettato che arrivassi a 95 anni? Tante cose non riesco a dimenticarle, ma altre non le ricordo più. Certo che quando comincio a ripensare a quelle storie, c’è da impazzire. Oggi voglio raccontare affinché le nuove generazioni capiscano quella grande tragedia”.

Luciano Sorba si era arruolato nella Regia Marina; addestramento alla Maddalena, a La Spezia e Venezia. Venne arrestato nel settembre del ’43 e deportato ad Auschwitz – Birkenau quando aveva 18 anni non ancora compiuti. Settembre 1943 – 1944 – 1945. Tre anni d’inferno.

La lunga intervista a Luciano Sorba è stata condotta in forma libera. Si è pensato di far scegliere all’intervistato come presentarsi, raccontando liberamente. Egli entra subito nel vivo del racconto con la vita militare e l’8 settembre, per inoltrarsi poi nell’esperienza dell’internamento.

Di conseguenza, i temi in relazione ai quali si è orientata l’intervista, sono divenuti “naturalmente” dei passi importanti per ricostruire il percorso dell’internamento: l’8 settembre, il viaggio, il lavoro nei diversi campi, la liberazione e il viaggio di rientro.

Non si è considerato il reinserimento in società dopo la fine della guerra, perché questo avrebbe aperto un altro capitolo sulla situazione dell’Italia nel dopoguerra e su quale memoria essa conservasse durante la ricostruzione. Si è preferito quindi soffermarsi solo su questi temi, temi ricorrenti in modo consistente in quasi tutte le interviste, temi che vengono “gestiti” dall’intervistato, che sceglie a suo modo dove collocarli nel percorso narrativo. Libero di raccontare, lucidissimo, rare le interruzioni, poche le domande.

 

Luciano Sorba si era arruolato nella Regia Marina; addestramento alla Maddalena, a La Spezia e Venezia. Venne arrestato nel settembre del ’43 e deportato ad Auschwitz – Birkenau quando aveva 18 anni non ancora compiuti. Settembre 1943 – 1944 – 1945. Tre anni d’inferno.

La lunga intervista a Luciano Sorba è stata condotta in forma libera. Si è pensato di far scegliere all’intervistato come presentarsi, raccontando liberamente. Egli entra subito nel vivo del racconto con la vita militare e l’8 settembre, per inoltrarsi poi nell’esperienza dell’internamento.

Di conseguenza, i temi in relazione ai quali si è orientata l’intervista, sono divenuti “naturalmente” dei passi importanti per ricostruire il percorso dell’internamento: l’8 settembre, il viaggio, il lavoro nei diversi campi, la liberazione e il viaggio di rientro.

Non si è considerato il reinserimento in società dopo la fine della guerra, perché questo avrebbe aperto un altro capitolo sulla situazione dell’Italia nel dopoguerra e su quale memoria essa conservasse durante la ricostruzione. Si è preferito quindi soffermarsi solo su questi temi, temi ricorrenti in modo consistente in quasi tutte le interviste, temi che vengono “gestiti” dall’intervistato, che sceglie a suo modo dove collocarli nel percorso narrativo. Libero di raccontare, lucidissimo, rare le interruzioni, poche le domande.

Luciano Sorba ci ha fatto scoprire che oltre e accanto al fenomeno della Shoàh, anche se con meno virulenza e drammaticità, ma certamente con la stessa oppressione e alienazione, c’era il fenomeno IMI (Internati Militari Italiani), cioè i campi di concentramento e di lavoro dei prigionieri di guerra.

I reduci, prima dimenticati insieme alle loro storie in un dopoguerra che aveva bisogno di pensare al futuro, diventano poi testimoni privilegiati nel momento in cui c’è necessità di riscoprire le memorie. Gli stessi ex IMI, a un certo momento, decidono di parlare, vogliono raccontare. Finisce il loro tempo del silenzio e inizia il tempo della memoria, il tempo di raccogliere gli eventi per consegnarli alla Storia.

… “avete aspettato che arrivassi a 95 anni. Dovevate farmela prima l’intervista. Tante cose non riesco a dimenticarle, ma sono tante le cose che non ricordo più. Certo che quando comincio a ripensare tutte queste storie…, c’è da impazzire

Di loro non rimarrà che il ricordo lasciato nei racconti scritti, nei filmati e nelle registrazioni. Inizierà allora un nuovo ciclo di conservazione della memoria con le sue regole, ma per il momento il dovere è quello di raccogliere, salvare, trasmettere. Luciano Sorba si è prestato a scrivere con noi questo frammento di storia tragica che ha vissuto quando era ragazzo giovanissimo; di certo non immaginava dove lo avrebbe portato la guerra.

Rientrato dalla prigionia, ha ottenuto sei mesi di licenza. Poi per un po’ di anni ha fatto il contadino. Dopo è emigrato in Svizzera dove ha lavorato per circa 30 anni.

A Leuca ha conosciuto la sig.ra Adriana. Un matrimonio felice nel 1961 con Adriana Colaci. Due figli, Piero che vive in Spagna e Stefania in Svizzera. Gli studi sulla memoria oggi sono importanti per diverse ragioni. Un ex internato militare, Luciano Sorba, ci ha raccontato la sua esperienza, accompagnandoci in questo viaggio. Sono emerse cose rilevanti ed altre all’apparenza meno. C’è da dire che non esistono in questo senso esperienze più significative di altre; ogni storia, come ormai più volte sottolineato, presenta delle unicità che fanno di essa una storia irripetibile, unica.

L’11 gennaio 2011 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con proprio decreto ha conferito a Luciano SORBA la medaglia d’onore “per essere stato internato e deportato nei lagher nazisti nell’ultimo conflitto mondiale”.

Considerato il momento storico che stiamo vivendo, a 70 anni di quegli eventi tragici, le coscienze delle giovani generazioni, privi di quella indelebile memoria storica che ha pervaso per tutti questi anni le passate generazioni, possono essere sopraffatte e il loro animo distorto da una propaganda che o nega la tragica esperienza di quegli eventi o ne minimizza la portata distruttrice, facendo rinascere di nuovo fenomeni di discriminazione che nella società di oggi accennano a ripresentarsi come rifiuto dello straniero e ostilità verso lo straniero, il diverso.

Oggi è dovere di tutti noi e delle istituzioni in particolare combattere ogni forma di razzismo e un sovranismo autocrate ed esclusivo. Conferire la cittadinanza onoraria a Luciano è un atto di riconoscenza ma anche un gesto che assume in questo momento storico una valenza pedagogica per tutta la comunità, in particolare nei confronti dei giovani.

Questa nostra grata commemorazione si pone alla fine della sua lunga esistenza. Per il coraggio e i suoi patimenti era già stato encomiato con un decreto del Presidente della Repubblica e il conferimento della Medaglia al valore militare.

Egli da Sardo di Oristano divenne cittadino di Leuca nel lontano 1960. Egli stesso racconta: “A Leuca sono arrivato nel ’60. Uno dei miei fratelli si era fidanzato con una di Leuca. Sono venuto a Leuca per il suo fidanzamento. Avevamo formato una squadra di amici venuti dalla Svizzera per Natale. In questa squadra c’era il fratello di mia moglie. All’una di notte col fratello di mia moglie siamo andati a prendere un caffè a casa sua e così ho conosciuto mia moglie Adriana”.

Alla signora Adriana va il nostro affettuoso sentimento di partecipazione al suo dolore, ai figli Piero e Stefania e ai parenti tutti, nella certezza di aver avuto un amico, una persona di grande stima, e più di ogni cosa di un testimone che ha saputo insegnare con il magistero della vita la strada che le giovani generazioni devono percorrere per poter attuare una società di pace e di libertà.

Ciao, Luciano!

Tutti dobbiamo leggere queste pagine con rispetto,con sensibilità, con commozione, allontanando ogni arrogante tentazione di modificarne lo scritto, perché la sua integrità formale ne garantisce quella culturale e insieme costituiscono un tragico documento

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